Hai mai pensato che ogni granello di sabbia possa raccontare una storia?
È questa la domanda introduttiva dell’evento di giovedì 13 giugno tenutosi a Fano presso la Nuova Sala della Cultura in collaborazione con l’Università dei Saperi. Ospite della giornata è stato Carlo Cerrano, professore all’Università Politecnica delle Marche e presidente di FanoUnimar, che ci ha illustrato non solo il percorso di formazione della sabbia, ma anche cosa si cela sotto di essa.
Un mio breve monologo ha preceduto l’intervento del professore. Formata da Sonia Antinori, attrice a capo dell’associazione teatrale MALTE, insieme ad altri studenti di biologia marina (Univpm), ho appena eseguito un corso di teatro voluto proprio dal professor Cerrano, con lo scopo di formare giovani scienziati a nuovi approcci di divulgazione scientifica utilizzando gli strumenti della recitazione. Infatti il monologo ha avuto lo scopo di aumentare la consapevolezza dei cittadini sulla carenza sempre maggiore di organismi viventi che, fino a qualche decennio fa, popolavano in massa le nostre coste. Oggi, invece, nei fondali sabbiosi dell’Adriatico la vita sta scomparendo a vista d’occhio; per questo motivo mi chiedo nel monologo come sia possibile che “in soli 20 anni siamo riusciti a spazzare via la vita che si cela sotto i granelli di sabbia”. Se pensavamo che sotto i nostri piedi non ci fosse nulla, ci sbagliavamo; nonostante l’ambiente sabbioso pulluli di vita, l’uomo ha cominciato da anni ad urbanizzare le coste rendendole abitabili, incurante del fatto che sfruttare esageratamente le risorse ambientali avrebbe gravato sulla sua stessa salute. Il monologo ha soprattutto evidenziato quanto l’essere umano abbia una visione antropocentrica dell’ambiente, e che se oggi “tutti cominciassimo a riflettere, se tutti cominciassimo ad agire, forse vivremmo in un Pianeta più sano”.
Al termine della performance teatrale, Cerrano ha dato inizio al suo intervento partendo dall’origine di un granello di sabbia; nell’arco di migliaia di anni grani minerali vengono erosi dalle montagne e, trasportati dai corsi d’acqua, arrivano al mare e sedimentano sul fondale, dando vita alle spiagge sommerse tipiche delle nostre zone.
Il professore ha messo però in chiaro un concetto fondamentale: la sabbia non è formata solo da componenti inorganiche e minerali come il quarzo, ma soprattutto da gusci di organismi microscopici, o da scheletri calcarei frammentati nel tempo dall’azione del moto ondoso. A prova di ciò, la spiaggia rosa di Budelli (Sardegna), formata da una miriade di gusci calcarei di Miniacina miniacea, un foraminifero (protozoo) vivente nelle praterie di Posidonia oceanica antistanti la spiaggia. Quindi, come rimarcato da Cerrano, “sapere cosa c’è in questi ambienti diventa fondamentale per capire se stiamo gestendo in modo adeguato le nostre risorse”. Gli organismi si sono evoluti sviluppando equilibrati sistemi ecologici per cui ciascuno, occupando una determinata nicchia trofica, si ciba delle risorse necessarie, evitando di entrare in competizione con altri . Il riciclo di materia organica sostiene la complessa comunità ecologica sommersa e, grazie a questo processo, si sviluppa la vita in mari e oceani. Ogni essere vivente gioca un ruolo fondamentale e ogni ruolo è legato inevitabilmente all’azione di un altro organismo che, con la sua presenza, garantisce il funzionamento dell’ambiente marino. Il paguro, ad esempio, sfrutta conchiglie di gasteropodi per proteggersi dai predatori, si ciba di materia organica “avanzata” e può ospitare sulla sua conchiglia altri organismi sessili che, a seguito di relazioni simbiotiche, usufruiscono degli spostamenti del paguro per avere la possibilità di catturare più cibo.
È quindi immediato osservare e comprendere come le opere di ingegneria marittima costruite lungo le coste del Nord Adriatico siano impattanti per gli habitat sabbiosi.
Le barriere frangiflutti costruite per moderare l’azione del moto ondoso sulla costa ed evitare l’erosione della spiaggia hanno favorito l’edificazione di stabilimenti balneari, danneggiando però l’habitat costiero. Carenza di adeguata ossigenazione, dilavamento delle risorse trattenute tra i granelli di sabbia e quindi perdita di cibo sono solo alcune delle conseguenze che l’azione umana ha causato nel corso degli ultimi decenni.
Tuttavia, ha concluso il professore, “lo stesso cervello che ci ha portato ad impattare gli ambienti, è lo stesso che ci deve portare a risolvere questi problemi”, problemi che si riversano specialmente sull’attività ittica, impoverendo le risorse, e sulla nostra salute. È quindi indispensabile trovare soluzioni alternative per evitare di mettere in pericolo il funzionamento degli ecosistemi marini; solo in questo modo, potremmo risollevare le sorti dei nostri mari.