Filippo Bargnesi: Una Vita tra gli Squali per la Biodiversità

Filippo Bargnesi, 37 anni, biologo marino, è stato ospite dell’aperitivo scientifico di Fano Unimar odv il 17 ottobre e ci ha raccontato con una ricca documentazione fotografica la sua decennale esperienza di studio degli squali in tutto il mondo e l’importanza di questi animali per preservare la biodiversità.

Com’è iniziata la passione per gli squali?

Non ero ancora laureato e ho avuto l’opportunità di fare uno stage presso l’acquario di Cattolica dove ho conosciuto un ricercatore che mi ha descritto la sua esperienza presso un centro di ricerca alle Bahamas, specializzato nello studio degli squali. Mi sono entusiasmato e appena conseguita la laurea, a 22 anni, sono partito come volontario per un mese a Bimini, un isolotto corallino in mezzo all’oceano, da decenni sede di un famoso centro ricerca sugli squali. Ai miei genitori ho chiesto come regalo il biglietto aereo!

Che tipo di esperienza è stata?

Un’esperienza completa e magnifica, anche con le sue difficoltà, Bimini per esempio, è un isolotto privo d’acqua e ci lavavamo con l’acqua salata, anche i panni e le lenzuola che così risultavano piuttosto rigidi! Eravamo una decina di volontari, tra studenti e neolaureati, provenienti da varie nazioni e, indipendentemente dall’età e dall’esperienza, siamo stati subito accolti dai ricercatori di Bimini molto più esperti di noi. Abbiamo imparato a fare tutto, io ho anche imparato a guidare la barca che usavamo per la ricerca. Lì ho scoperto che  americani e anglosassoni in genere, hanno un approccio alla ricerca scientifica molto più easy. La prima volta che mi sono buttato in acqua mi sono trovato circondato da un gruppo di squali limone che mi nuotavano intorno curiosi. Questo è stato il biglietto di benvenuto a Bimini : un’esperienza fantastica per uno come me che fino a quel momento aveva visto dal vivo al massimo un paguro! Per un mese ho studiato gli squali limone: catturavamo i piccoli che vivono in mezzo alle mangrovie, il loro habitat preferito perché vi trovano cibo e riparo, li taggavamo e subito li liberavamo.

Un’esperienza completa e magnifica, anche con le sue difficoltà, Bimini per esempio, è un isolotto privo d’acqua e ci lavavamo con l’acqua salata, anche i panni e le lenzuola che così risultavano piuttosto rigidi! Eravamo una decina di volontari, tra studenti e neolaureati, provenienti da varie nazioni e, indipendentemente dall’età e dall’esperienza, siamo stati subito accolti dai ricercatori di Bimini molto più esperti di noi. Abbiamo imparato a fare tutto, io ho anche imparato a guidare la barca che usavamo per la ricerca. Lì ho scoperto che  americani e anglosassoni in genere, hanno un approccio alla ricerca scientifica molto più easy. La prima volta che mi sono buttato in acqua mi sono trovato circondato da un gruppo di squali limone che mi nuotavano intorno curiosi. Questo è stato il biglietto di benvenuto a Bimini : un’esperienza fantastica per uno come me che fino a quel momento aveva visto dal vivo al massimo un paguro! Per un mese ho studiato gli squali limone: catturavamo i piccoli che vivono in mezzo alle mangrovie, il loro habitat preferito perché vi trovano cibo e riparo, li taggavamo e subito li liberavamo.

Poi cos’è successo?

Tornato in Italia mi sono iscritto alla laurea magistrale e subito dopo ho ottenuto varie borse di studio per il mio progetto di ricerca sugli squali inoltre sono entrato all’acquario di Cattolica come collaboratore. L’esperienza sul campo è fondamentale e quella alle Bahamas è stata il mio apripista.

Mai avuto paura di fronte a uno squalo?

Sì, è successo in Mozambico al confine con il Sudafrica. Più che paura, preoccupazione. Mi sono trovato di fronte un Bull Shark, squalo toro, uno dei più imprevedibili. Inoltre, ero vicino a un gruppo di turisti e il capogruppo locale per attirare gli squali stava pasturando alla grande.  A volte il turismo sub è dannoso e potenzialmente rischioso per l’uomo perché come in questo caso, provoca lo squalo all’attacco. Quello che ho verificato in tanti anni di esperienza è che gli squali in generale non sono aggressivi, gli attacchi agli esseri umani da parte degli squali sono un avvenimento relativamente raro,

Comunque, quella volta lo squalo Bull Shark mi ha puntato e ho visto subito che nuotava con il tipico pattern dell’attacco, cioè muoveva la testa di lato e nuotava di traverso. Io e gli altri sub eravamo disposti in cerchio, spalla a spalla, proprio per evitare che lo squalo passasse in mezzo a noi. E’ una delle prime tattiche di difesa che si imparano. Lo squalo se n’è andato!

Ero lì per studiare il rapporto tra le persone normali, cioè i non ricercatori, e gli squali. Poi mi sono spostato in Sud Africa in un punto famoso per la presenza di moltissimi squali bianchi ma anche di Sand Tiger Shark che erano oggetto di una mia ricerca. Questi squali, infatti, sopravvivono in molti mari ma non nel Mediterraneo dove sono pressoché scomparsi mentre una volta erano molto diffusi. I Sand Tiger Shark vivono nei reef bassi, amano i delta pluviali perché l’acqua torbida li aiuta a nascondersi, in più è ricca di cibo. Presentano una caratteristica coda eterocerca che li differenzia da tutti gli altri. Non sono nuotatori veloci, gironzolano sul fondale in maniera pacifica. Sono cacciatori notturni.

Quali squali sopravvivono oggi nel Mediterraneo?

Il Mediterraneo, uno dei mari più pescosi del mondo una volta, è anche da sempre uno dei più antropizzati e questo ha portato alla diminuzione se non alla scomparsa di molte specie marine. La ricerca ci dice che nel Mediterraneo il 60% delle specie sono a rischio. Solo il 15% é in uno stato accettabile di conservazione.

Anche gli squali bianchi erano diffusi nel Mediterraneo e oggi sono quasi introvabili. Bisogna tenere conto che gli squali hanno una gestazione molto lunga, circa due anni, e fanno pochi piccoli, e questo li rende estremamente a rischio di estinzione.

E l’Adriatico?

L’ Adriatico sarebbe perfetto per gli squali perché è pescoso e poco profondo.

Le specie ancora riscontrabili sono la Verdesca o squalo azzurro, tipico dell’Adriatico, arriva fino a 3m di lunghezza e partorisce fino a 30-35 piccoli quindi sopravvive meglio dello squalo bianco perché é più prolifica.

Lo Squalo Volpe è stato avvistato anni fa al largo di Ravenna, lo Squalo grigio nel delta del Po.

Si può incontrare anche lo Squalo elefante che si nutre di plancton in sospensione, lo filtra tenendo la bocca aperta ed è innocuo per l’uomo nonostante le dimensioni. Anche questo é minacciato dalla pesca accidentale perchè se smette di nuotare soffoca.

Perché dobbiamo proteggere gli squali?

La popolazione di squali mediterranei è isolata a livello genetico quindi la loro conservazione é fondamentale, hanno un ruolo molto importante nel mantenimento della biodiversità perché eliminano i pesci più deboli e mantengono in equilibrio l’ambiente marino. Senza questi predatori apicali, aumentano a cascata le altre specie e si crea un progressivo disequilibrio. Nelle acque degli Stati Uniti il declino di squali, per esempio, ha portato all’esplosione delle razze con una ricaduta importante, ovvero la diminuzione della popolazione di gamberi.

L’ultima frontiera della ricerca per individuare gli squali e preservarli è lo studio del Dna cioè le tracce che gli organismi rilasciano in modo naturale nell’ambiente, ovvero nell’acqua e nel suolo, il cosiddetto “DNA ambientale”. Grazie a queste ricerche, riusciamo a precisare meglio quali e dove sono gli hotspot che hanno visto il passaggio di squali. Attualmente nel Mediterraneo, i principali sono nell’alto Adriatico e nel canale di Sicilia.

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